Lanno 235 avanti cristo
sulle coste della grande città orientale sarda, approdarono numerose navi, dalle quali
discesero sferraglianti le legioni capitanate dal Console Tito Manlio Torquato, inviato
dal governo di Roma per sbaragliare i Cartaginesi, soggiogare le popolazioni
dellisola e flettere definitivamente la tenace resistenza dei guerrieri nuragici che
con tutte le loro forze si opponevano agli invasori guidati dal loro capo, il prode e
stimato sardo-punico Amsicora.
Nuria era vedova, suo marito era morto combattendo eroicamente nella difesa della
lontana Terranova (Olbia) contro le legioni di Cornelio Scipione. Era rimasta li coi suoi
tre figli, due dei quali accorsero alla chiamata di Amsicora, mentre lei restava in
compagnia del piccolo Vargiu che contava appena sette anni.
La donna, già da qualche giorno, sempre tenendo con se il piccolo Vargiu, spiava
dallalto della collina i movimenti delle numerosissime schiere inquadrate ed
ordinate, arrivare e fermarsi sulla riva opposta del Flumini Mannu. Restava li ad ammirare
quegli strani guerrieri col cimiero e con le armature scintillanti al sole. Mentre tutto
ciò accadeva, vide dallaltra parte del fiume Mannu, altri guerrieri giungere dai
lontani nuraghi, nascondersi fra i cespugli delle circostanti colline. Erano i soldati di
Josto, il giovane figlio del grande capo Amsicora, limpetuoso e audace condottiero.
Egli prudentemente attendeva larrivo del padre Amsicora, che col grosso dei
guerrieri sardi doveva arrivare da Cornus per sferrare un attacco poderoso, contro
lesercito invasore. Quella note la luna illuminava la grande vallata, regnava il
silenzio assoluto, si udiva solo lo stornire delle fronde ed il mormorio delle acque del
fiume. Qua e là si vedevano nella riva contrapposta i fuochi semispenti dei bivacchi dei
soldati romani.
Improvvisamente
unesplosione di voci tremende sconvolse quella pace; la luna sembrò che tremasse,
una feroce battaglia si scatenò improvvisamente. Josto il giovane condottiero
Sardo-Punico pieno dimpeto e coraggio, stancatosi di attendere il rinforzo paterno,
coraggiosamente diede inizio alla battaglia attaccando di sorpresa laccampamento dei
romani. Lo sferragliare delle armi, le urla dei guerrieri ed i lamenti dei soldati feriti
fecero sobbalzare il cuore di Nuria che tra la veglia ed il sonno stringeva al suo petto
il piccolo Vargiu.
Allalba, dopo tante ore di accanito e cruento combattere, si levò poderoso
come un tuono, un coro di voci esultanti : << HUTALABJ -- HUTALABJ >> !
Era il grido di vittoria degli uomini di Josto che avevano messo in fuga i romani ormai
sconfitti. Ma lesultanza durò abbastanza poco, perché lastuzia e
lesperienza di Tito Manlio Torquato, prevalse sullaudacia ed il valore dei
Sardi. La battaglia si riaccese furibonda; era sopraggiunta la cavalleria romana che con
rinforzi di fanteria travolse come una valanga gli eroici guerrieri sardi del giovane
figlio di Amsicora, che cadde ucciso insieme agli indomiti compagni.
Nuria Terrorizzata osserva l'evolversi della battaglia
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La vittoria
dei sardi si trasformò quindi in una tremenda ma gloriosa sconfitta : pochi furono i
superstiti e si diedero alla fuga per non cadere prigionieri e schiavi dei romani. I
legionari irruppero ovunque inseguendo e uccidendo i poveri sardi che capitavano sotto il
loro gladio. |
Nuria col terrore
che le attanagliava la gola si stringeva al petto il piccolo Vargiu e spiava
dalluscio della sua capanna le varie fasi della battaglia. Vide le legioni romane
radunarsi e poi scomparire dietro le colline probabilmente dirette verso Cornus. Ne seguì
un silenzio di morte. La campagna era cosparsa di cadaveri e le acque del fiume Mannu
erano rosse di sangue.
Due legionari
gravemente feriti si trascinavano lentamente verso la capanna di Nuria uno dei due
appoggiava la testa sulla spalla dellaltro. Nuria afferrò una grossa scure e
strinse sempre più forte il piccolo Vargiu, pronta a difenderlo con tutte le sue forze.
La sua fronte era imperlata di un sudore freddo e la sua gola era arsa. Lansia e il
terrore le facevano scoppiare il cuore, si calmò solo quando si accorse che i due
legionari erano grondanti di sangue ed avevano bisogno daiuto.
Il più forte dei due chiese dellacqua,
laltro cadde dopo esseri piegato sulle ginocchia, mentre Nuria esitava tremante
anche laltro legionario cadde esamine sullaltro. La donna si scagliò con la
scure su di loro ma il braccio rimase proteso verso il cielo. La scure le cadde
pesantemente di mano; no non doveva colpire dei moribondi inermi e incapaci di farle del
male, questo non era mai stato fatto dalle sue genti ! si chinò su di loro; li scosse ma
uno dei due era già morto, mentre laltro il più giovane e probabilmente il più
forte rantolava e chiedeva dellacqua con un filo di voce. Nuria tornò nella capanna
prese una ciotola piena d,acqua e ne riversò il contenuto, goccia a goccia sulle labbra
arse del nemico moribondo.
Il sole, tramontato la sera precedente, riapparve ad
oriente come un immenso tegame di rame luccicante, sospinto da invisibili mani da dietro
le colline. Tuttattono, nella vallata e lungo le due rive del fiume si distinguevano
le macchie scure dei soldati uccisi in battaglia ed in lontananza si udivano i nitriti dei
cavalli feriti a morte e abbandonati al loro destino. Nuria e Vargiu erano chini sul
legionario romano, che lentamente riprendeva le forze.
Il guerriero era giovane, poteva avere non
più di 25 anni ma ne dimostrava tanti di meno. Il suo sguardo era buono, i suoi
lineamenti gentili piacevano al piccolo sardo e a Nuria, perchè vagamente assomigliavano
a quelli di uno dei suoi figli accorsi alla chiamata di Amsicora. Anche il suo nome
piaceva a Nuria ed a Vargiu , il soldato si chiamava Ciro. |
I due legionari feriti vengono soccorsi da Nuria e Vargiu
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Passarono dei mesi, Ciro
pian piano guarì e le sue ferite si cicatrizzarono. Spesso insieme al piccolo Vargiu si
recava a caccia e portava oltre alla cacciagione, dei canestri ricolmi di frutta
selvatica. Conobbe gli abitatori delle altre capanne e divenne amico dei vecchi, delle
donne e dei ragazzi che vi abitavano. Ma a Ciro non piaceva lo strano pane nero fatto di
orzo, oscuro e sottile come la pelle di un cinghiale seccata al sole, che Nuria cuoceva
fra due sassi roventi. Egli, poiché da ragazzo era stato garzone di un fornaio, sapeva
come confezionare il buon pane di grano, che profumava la mensa delle famiglie patrizie
romane.
Si
mise al lavoro con grande lena, costruì un forno con fango e pietre, e decise che da quel
giorno lui avrebbe confezionato il pane per i pastori che dalla montagna scendevano con le
loro greggi per la transumanza, nella grande pianura del campidano. |
I pastori in transumanza si approviggionano di civraxiu
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Il
grano che ovunque maturava confuso con lorzo e lavena, venne raccolto da Ciro
e da Vargiu. |
L'ottimo grano duro, maturato nella fertile pianura di Sanluri,
veniva raccolto da Ciro e da Vargiu
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Nuria nelle
giornate di sole lo sfarinava con una macina a mano, mentre Sotgia, la bella e giovane
ragazza figlia del vecchio pastore della capanna vicina, lo passava e ripassava,
attraverso alcuni crivelli fatti con i giunchi del vicino fiume, fino a ricavarne una
farina giallognola mondata dalla pula: era la semola del grano duro maturato nella
meravigliosa terra di Sanluri.
Ciro impastò e lavorò quella semola, con grande maestria
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Ciro
impastò e lavorò quella semola sino a ricavarne tanti blocchi rotondi come dei cocomeri,
disponendoli poi sopra una stuoia, dove ricoperti da un panno bianco, pian piano presero a
fermentare. Dopo oltre due ore di fermentazione, facendo attenzione affinché non si
sgonfiassero, con una pala di legno li mise dentro il forno, precedentemente riscaldato
con le fascine. |
Quando dopo
unora di cottura vennero tolti dal forno, erano dorati e grandi come il sole quando
sorge, ed un buon profumo inondò tutta laria attorno alla capanna. Fu una grande
festa, Vargiu e Sotgia per primi ne spezzarono uno ancora fumante, sbocconcellandone un
pezzo ognuno e porgendone altri a Nuria ed ai vicini che attirati dal profumo, era accorsi
per curiosare. Comera buono quel pane candido e profumato, la cui crosta scroccava
sotto i bianchi denti abituati ad altri cibi.
Ciro prese per compagna la
brava e bella Sotgia, si costruì una capanna in pietra e visse con quella brava gente.
Con laiuto di Sotgia e del piccolo Vargiu, continuò e ingrandì il suo lavoro. Ben
presto quel pane così profumato e saporito veniva ricercato da tutti, anche dagli
abitanti dei vicini Nuraghi, che pagavano con uova, formaggi, lana e utensili in bronzo ed
in terracotta.
Ma
bisognava dare un nome a quel pane, per distinguerlo dagli altri che venivano confezionati
nella zona. Lo chiamarono ora Ciro ora Vargiu , e a volte col binomio dei due amici
Ciro-Vargiu, poi con landar del tempo venne chiamato: CI-VARGIU. |
Il profumo di quel pane inondò tutta l'aria, attorno alla
capanna
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Dopo tanti secoli, quel
grosso e profumato pane, confezionato con la semola del meraviglioso grano di Sanluri,
viene chiamato < CIVRAXIU > a testimonianza dei vincoli di fraterna e
profonda amicizia che legarono anche nella nobiltà del lavoro, il bravo legionario romano
Ciro a quel ragazzo sardo di nome Vargiu, figlio di Nuria sua salvatrice, che abitava in
quella collina al di là del fiume, dove oggi vive e prospera la laboriosa cittadina di
SANLURI.
E da allora la gente imparò a gustare il buon Civraxiu di
Sanluri
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> da Sanluri terra e lori <
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